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Proteste alle Olimpiadi: le ragioni di chi non le vuole

Foto: reuters, Kim Hong-ji / AFP Sotomayor

Proteste alle Olimpiadi: le ragioni di chi non le vuole

In un articolo di Swimmingworldmagazine, Charles Hartley esprime alcune ragioni a favore della regola 50 contro le proteste durante i Giochi Olimpici. Che siate d’accordo o no potete leggere nei post precedenti cosa hanno detto Antony Ervin, Adam Gemili e Adam Peaty.  Adesso è il turno di Hartley. Devo dire che leggendo questo articolo le motivazioni contro le proteste mi sembrano un po’ deboli e pretestuose e a dire che mancano completamente il punto gli si fa un complimento. Se sono questi gli argomenti… Avevo deciso di riportarli per come sono ma davvero alcuni punti necessitano chiarimenti che inserirò in un breve paragrafetto alla fine di ogni osservazione.

Mescolare sport e proteste

“Al momento” dice Hartley “viviamo in un contesto storico che guarda con grande tolleranza alle proteste durante gli eventi sportivi. COn proteste spesso su questioni che non riguardano affatto lo sport. Ecco le mie tre ragioni per cui sport e politica non dovrebbero mescolarsi”.

La prima motivazione

“Prima di tutto non credo che la maggioranza del pubblico che guarderà le Olimpiadi lo farà per scoprire quali convinzioni politiche o cause suportano i nuotatori fuori dalla piscina. Certo, ognuno di loro avrà legittimamente delle opinioni ma usare il podio per esternarle non farà sì che le persone apprezzino o rispettino di più quell’atleta. Il nuoto non diventerà più popolare grazie a queste proteste”.

“È il posto sbagliato per farlo. Le persone vogliono dimenticarsi della politica quando guardano il nuoto. Si distraggono allontanando i pensieri dai problemi sociali e civili del nostro tempo. Vogliono guardare il nuoto per la purezza e la bellezza di questo sport, lo sfarzo e l’emeozione della gara. Non si sintonizzano sulle gare per essere educati su quello che c’è di sbagliato o da aggiustare nella società contemporanea. Per quello possono sintonizzarsi su uno dei mille dibattiti televisivi”.

Non sta certo a Charles Hartley sindacare sulle motivazioni per cui ognuno di noi guarderà le Olimpiadi. Non può saperlo e non supporta la sua affermazione con alcun dato statistico.

Ma il punto vero è: anche qualora fosse così, sarebbe proprio per quello che una protesta ha senso di esistere attraverso un palco come quello Olimpico. Esattamente per fare in modo che il problema arrivi a persone che di quel problema non ne sapevano unlla. Per fare in modo che se ne parli e si aggiusti una situazione ingiusta. Quindi questa motivaizone mi pare che sia più a favore più che contro 🤦‍♂️

Secondo punto

“Secondariamente, se queste proteste fossero ammesse le cose potrebbero sfuggire di mano. Dopo che la prima persona protesta, l’atleta successivo potrebbe sentirsi libero di fare lo stesso. In questo modo perderemmo di vista lo scopo principale dell’evento che è competere su scala globale in uno specifico sport e non di lanciare un messaggio trasversale oltre lo sport. Una protesta dopo l’altra in un escalation fuori controllo renderebbero protagoniste le proteste stesse e non il nuoto”.

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Sì, e se da domani tutti cominciassero camminare saltellando su un piede solo il mercato delle calzature collasserebbe… Il punto è che per decidere di dare voce a una protesta c’è necessità di una forte motivazione e coinvolgimento. Dubito che potremmo vedere su ogni singolo podio qualcuno che protesta per un motivo diverso da tutti gli altri. Non sembra molto realistica come prospettiva.

Terza “argomentazione”

“Terzo, sarebbe un brutto precedente. Quando noi Americani andiamo al lavoro ogni giorno ci si aspetta che faccimao il nostro lavoro. Non ci è permesso protestare su problemi che non seono relativi ad esso. Sarebbe insensato. Il risultato sarebbero delle discussioni, sul lavoro, tra persone che non sono d’accordo l’una con l’altra su argomenti che nulla hannno a che fare con il lavoro. Il lavoro e gli affari non possono alimentare astio, non fa parte, ed anzi allontana, dagli obiettivo dell’azienda.

In un modo simile i nuotatori sono parte di una comunità più ampiaa cui fa capo il CIO. La misisone del CIO è promuovere le competizioni sportive e non fornire un megafono per le proteste”.

Ad Hartely sfugge un particolare grosso come la Val D’Aosta, ed è che il nuotatore quando è sul podio e protesta il suo obiettivo “di lavoro” lo ha già bello e raggiunto e nel modo migliore del mondo. La similitudine con un’azienda a me sembra sballata sotto tutti i punti di vista, primo fra tutti che una squadra di nuoto NON è un azienda. Quanto agli scòpi del CIO “promuovere le competizioni sportive” è un tantinello riduttivo. E basta leggere la carta del comitato per capire che la promozione dei valori positivi dello sport è preminente. È proprio a difesa di quei valori che nella quasi totalità dei casi si attuano le proteste.

Quindi caro Peaty…

Insomma l’articolo di Hartley finisce consigliando a Peaty di rivedere le proprie posizioni. Io invece sarei curioso di conoscere le motivazioni di qualcuno che sia in grado di argomentarle in maniera sensata, argomentazioni valide che possano dare adito a una discussione. Se ne avete, inseritele nei commenti, ne parleremo.

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